domenica 27 aprile 2014

QUANDO DAL CIELO CADEVANO LE STELLE

Salve lettori, 
oggi vi propongo  un libro intenso e commovente, pubblicato da Eden editori e scritto dalla giovane e brava autrice esordiente Federica Pannocchia, in arte Sofia Domino. Quando dal cielo cadevano le stelle è il suo primo romanzo e tratta il tema dell'Olocausto. Potete acquistare l'ebook QUI
Per saperne di più, leggete la mia recensione.
Buona lettura.






RECENSIONE:


Immaginate di essere degli ebrei durante l’Olocausto e che la vostra vita cambi improvvisamente, immaginate di dover trascorrere anni rinchiusi nella cantina di un’altra famiglia perché fuori imperversa la Seconda Guerra Mondiale e, peggio ancora, le leggi razziali. E infine immaginate una ragazzina ebrea di tredici anni che si affaccia alla vita, ma che vede solo morte. Proprio questa ragazzina, di nome Lia, è la protagonista del romanzo “Quando dal cielo cadevano le stelle” di Federica Pannocchia.
Una storia forte e intensa, tragica e commovente al tempo stesso. Un romanzo, questo, poco adatto a stomaci delicati, poiché getta luce nella ferita più profonda della nostra storia; un romanzo che ha richiesto sicuramente coraggio per essere scritto, ma che richiede altrettanto coraggio per essere letto. 
Questa storia racconta il lungo calvario di una famiglia ebrea, quella di Lia, che vive a Roma fino a quando non viene deportata ad Auschwitz, ed è proprio lì che tutto inizia e tutto finisce per molti ebrei. Lia ha solo tredici anni eppure nulla le viene risparmiato in quell’inferno vivente che è Auschwitz, un luogo in cui non esiste pietà, ma solo orrore, tormento e morte. 
L’autrice non risparmia alcuna crudeltà al lettore e non omette nulla di ciò che accada a Lia dal momento in cui varca la soglia del campo di concentramento. Davanti agli occhi di chi legge si estende un film dell’orrore pieno dei soprusi e delle violenze che i deportati sono costretti a subire ogni giorno. La fame, il freddo, le malattie, le punizioni, le percosse, le camere a gas sono tra i  tormenti più significativi descritti nelle pagine di questo romanzo. 
Lia ama la vita, nonostante tutto e tutti, e non smette di sperare che un giorno la guerra finirà e tutti saranno liberati. Spera di poter diventare grande, insieme ai suoi fratelli e che un giorno le stelle saranno visibili soltanto in cielo e non più sulle uniformi a righe degli ebrei. 
Fortunatamente per Lia la liberazione è alle porte. Riuscirà a tenere duro, a resistere fino all’arrivo degli americani? La ragazzina è determinata a non cedere e, nel suo piccolo corpo ridotto ormai a un ramoscello secco, aleggia una determinazione e una fiducia nella vita che ha tutto da insegnare a chi, invece, si scoraggia nel quotidiano per delle banalità. Il destino di Lia è appeso a un filo sottile, rimanete con lei fino alla fine di questo libro, non abbandonatela e lo conoscerete anche voi. 
Al termina di questa lettura, che tocca il cuore e l’anima, non si può non avvertire una nuova forza trasferirsi dentro di sé, quella di una ragazzina che ha avuto il coraggio di scommettere sulla vita nonostante l’avvicinarsi della morte. 
Lia non si è arresa perché, come ci ricorda lei stessa, la vita è bella.

giovedì 24 aprile 2014

INTERVISTA A REBECCA DOMINO

Salve lettori, rieccomi con una nuova interessante intervista per voi. Pochi giorni fa ho postato la recensione del bel romanzo La mia amica ebrea di Rebecca Domino, oggi vi lascio la mia intervista all'autrice. 
Per saperne di più su Rebecca Domino, visitate il suo sito personale: http://rebeccadomino.blogspot.it/.
Vi ricordo inoltre che è possibile acquistare l'ebook QUI.
Buona lettura.

Ciao Rebecca, ti do il benvenuto nel mio blog e ti ringrazio per aver accettato questa intervista. Cosa ti ha spinto a scegliere proprio il tema dell’olocausto per il tuo libro?
Ciao Silvia, grazie mille per ospitarmi! Non ho deciso a tavolino di scrivere un romanzo sull’Olocausto; l’idea per “La mia amica ebrea” è nata in maniera imprevista e improvvisa. Quello che sapevo è che non volevo scrivere un libro con degli ebrei protagonisti, perché ce ne sono già molti e soprattutto perché ero molto incuriosita dall’altro lato dell’Olocausto, ovvero com’era vivere e crescere nella Germania nazista, appartenendo alla “razza ariana”. Allo stesso modo, sono stata molto colpita dalla generosità, dall’altruismo e dalla nobiltà d’animo dei cosiddetti “eroi silenziosi”, persone non - ebree di ogni età che, durante il nazismo, hanno aiutato degli ebrei. 
Alcuni ne hanno salvati a decine, altri solo uno, ma penso che ogni vita sia importante e che non si parli mai abbastanza di quegli eroi che, molto spesso, hanno pagato con la vita il loro ribellarsi al volere di Hitler. Volevo scrivere un romanzo che ricordasse al pubblico che non tutti i tedeschi durante il nazismo erano dei mostri, se sicuramente c’erano delle persone che decisero di appoggiare Hitler per scelta, ce n’erano altrettante – specialmente giovani – frutto della sua propaganda, che non sapevano pensare in altro modo se non come veniva loro insegnato e imposto. 
Ho cercato di alzare il velo sulla vita quotidiana in una città tedesca nel 1943, ricordando che oggigiorno sappiamo moltissime cose sia sui campi di concentramento sia su cosa succedeva “dietro le quinte” del mondo politico, ma allora quella era la realtà che nasceva giorno dopo giorno. 
Lo scopo del mio romanzo, oltre a quello di raccontare una delicata amicizia fra due ragazzine apparentemente diversissime fra loro, è proprio quello di ricordare quegli “eroi silenziosi” e di rammentare che la razza umana, nonostante sia capace di gravi atti di violenza e barbarie, è anche capace di provare compassione e di rischiare tutto per un suo simile, spesso anche quando due persone non si conoscono.

Quanto è stato difficile immedesimarsi in una ragazzina tedesca di quindici anni e guardare gli ebrei e la guerra dal suo punto di vista?
Non è stato per niente difficile. Come ripeto spesso, è stata Josepha – la protagonista – a scrivere il romanzo. Durante la prima stesura le ho lasciato carta bianca in modo che potesse raccontare appieno la sua storia. 
Quando un’idea bussa alla mia mente capisco subito, dai brividi che mi da’, se sarà destinata a diventare un romanzo che vorrò pubblicare oppure no; Josepha ha bussato alla mia mente un giorno come un altro, mentre stavo navigando su Internet alla ricerca di tutt’altro, e l’ho assecondata perché pensavo che la sua storia fosse molto interessante, e sicuramente lo è. 
Mi sono documentata molto per scrivere “La mia amica ebrea”, sia su com’era la vita ad Amburgo nel 1943, sia su com’era prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. 
Mi sono documentata anche sulla salita al potere di Hitler, e su com’era la vita quotidiana sia per gli “ariani” sia per gli ebrei. Facendo tutto ciò, giorno dopo giorno ho cominciato ad avere un quadro sempre più completo della vita a quei tempi: ho letto numerose testimonianze di persone che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale in Germania e, nello specifico, ad Amburgo nell’estate del 1943. Ho fatto ricerche su episodi politici o sui grandi bombardamenti, ma anche su cosa facevano i ragazzini comuni per passare il tempo. Quando ho messo insieme tutte queste informazioni, ho lasciato la penna a Josepha. 
Mi ha sempre incuriosito l’altro lato dell’Olocausto e, prima di cominciare le ricerche per il romanzo, mi chiedevo spesso come fosse possibile che Hitler – per quanto fosse un ottimo oratore e un uomo sicuro di sé – avesse raggiunto il potere, come fosse possibile che una nazione intera avesse permesso a un solo uomo (a un uomo del genere) di fare così tanto male, ma studiando la sua salita al potere ho conosciuto i passaggi chiave e quando ho cominciato a scrivere il romanzo mi sono ritrovata con una protagonista quindicenne nel 1943, ovvero nata nel 1928, quando Hitler si stava già muovendo per ottenere il potere assoluto. 
Sono rimasta stupita dai livelli cui era la propaganda; questa era ovunque: nei cinema, nelle scuole, sui giornali… Josepha è cresciuta circondata da persone che appoggiavano il volere di Hitler, ha sentito sempre e solo le sue parole, che rimbalzavano sulle bocche di tutti e a quindici anni le e’ chiaro che chi va contro Hitler rischia molto; il suo stesso padre, tornato invalido dal fronte, è contro Hitler, ma tiene spesso per sé quei pensieri, consapevole di cosa succederebbe se qualcuno dovesse scoprirlo o denunciarlo, in primis Ralf, il fratello maggiore di Josepha, un nazista convinto, orgoglioso di far parte della Gioventù Hitleriana, che minaccia spesso di denunciare il suo stesso padre. 
E’ stato strano, all’inizio, dar voce a Josepha, perché nella parte iniziale del romanzo le sue parole contro gli ebrei sono fredde, cattive, e accapponano la pelle se pensiamo che sono il frutto della mente di una ragazzina, ma più avanziamo nella storia più capiamo che in realtà sono il frutto della propaganda, che Josepha non sa pensare con la propria testa e, allo stesso tempo, man mano che cresce la sua amicizia con Rina (coetanea ebrea che suo padre ha nascosto in soffitta, insieme a parte della famiglia) scopriamo i dubbi di Josepha in merito alla questione degli ebrei e a tutto cio’ che sente dire da anni. 
La domanda che mi sono posta è: com’era vivere nella Germania nazista, e, soprattutto, come comportarsi di fronte a degli ebrei, a delle persone viste come il male? 
Ma non erano il male, e pian piano Josepha lo scopre. Porsi domande sulla veridicità delle parole di Hitler, però, era molto pericoloso; andarsene in giro a difendere la sua nuova migliore amica, Rina, o affrontare le amiche di sempre – “ariane” come lei – può portare a conseguenze disastrose. 
E allora, com’e’ possibile convivere con il senso di colpa, sbirciare nella vita degli ebrei e continuare ad andare avanti continuando a dimostrare il supporto per Hitler? E quanto sarei stata disposta a rischiare per salvare una mia amica ebrea? Queste domande hanno dato il via al romanzo poi, lo ripeto, Josepha ha fatto il resto.

Leggendo le pagine del tuo romanzo si capisce subito che hai svolto un meticoloso lavoro di ricerca e studio per quanto riguarda gli avvenimenti storici del periodo da te trattato. Quali libri sull’olocausto sono stati fonte della tua ispirazione?
Sì, come ho accennato prima ho svolto numerose ricerche prima di cominciare a scrivere il romanzo. Penso che, quando si affronta un romanzo storico, sia necessario, per dare quel contorno di realismo che deve spingere il lettore a sentirsi in quell’epoca, sin dalle prime pagine. Detto questo, mi sono affidata molto ai siti Internet e a dei volumi che ho preso in biblioteca, volumi di stampo storico. 
Ammetto che non ho trovato informazioni interessanti per il mio libro in altri romanzi sull’Olocausto; stavo cercando testimonianze vere di persone che hanno aiutato degli ebrei, non come Oskar Schindler (che, non dobbiamo mai dimenticarlo, ne salvò tantissimi), ma storie vere di persone comuni, che avessero nascosto in casa, nel negozio, ovunque, anche solo un ebreo.

Le due protagoniste del tuo romanzo sono entrambe amanti delle Fiabe dei fratelli Grimm. Perché hai scelto di far leggere loro proprio questo libro?
Perché è un classico della letteratura tedesca per ragazzi. Le Fiabe dei Fratelli Grimm sono molto famose anche ai giorni nostri, nonostante altre persone ne abbiano scritto altre versioni e ne siano stati tratti film o cartoni animati. Volevo scegliere un libro che non avesse niente di “pericoloso”, niente di stampo nazista, e non è stato semplice trovarne uno; le Fiabe dei Fratelli Grimm sono state scritte ben prima della salita al potere di Hitler e, siccome il volume rappresenta il primo punto di contatto, di scambio, fra Josepha e Rina, volevo che fosse il più infantile, innocente e neutro possibile.

Personalmente non conoscevo il campo di Neuengamme. Lo hai visitato dal vivo per poterlo meglio descrivere, o comunque hai visitato dei campi di concentramento e la stessa Amburgo?
No, non ho visitato ne’ Amburgo ne’ dei campi di concentramento, almeno per il momento. Ammetto che, prima di iniziare le ricerche per il romanzo, neanche io sapevo dell’esistenza del campo di concentramento di Neuengamme, che si trova a quindici minuti di macchina da Amburgo. Quando mi ci sono imbattuta, però, ho pensato che avrei potuto usarlo per una scena interessante e infatti Josepha e le sue amiche si spingono sino a Bergedorf per cercare di farsi un’idea migliore su come fossero quei “campi” di cui si parlava tanto. 
Al campo di Neuengamme vigeva la regola dell’uccidere attraverso il duro lavoro (e, di conseguenza, attraverso la fame e la stanchezza), ma non si parla di uccisioni di massa nel senso classico del termine e a morire nelle camere a gas furono “solamente” dei prigionieri politici. Allora, però, tutte queste cose non si sapevano. 
Un giorno mi piacerebbe andare a visitare un campo di concentramento e di sicuro lo farò; chissà, magari andrò anche ad Amburgo, e certamente mi sembrerà strano camminare nelle stesse strade di Josepha…

Pensi di scrivere in futuro altri libri sullo stesso tema?
Non lo so. Di solito non programmo con largo anticipo che cosa scrivere, le idee mi colpiscono all’improvviso. Per il momento posso dirti che penso che la Seconda Guerra Mondiale sia un terreno fertile per diversi tipi di romanzi, proprio perché durante quegli anni sono accadute un sacco di cose, spesso molto diverse fra loro, e in Paesi diversi. Ho già scritto un romanzo ambientato in Germania, durante gli anni della salita al potere di Hitler. 
Il mio prossimo romanzo non ha niente a che vedere con la Seconda Guerra Mondiale o la Germania; ne approfitto per dire che uscirà il 19 maggio e che racconta la nascita improvvisa dell’amicizia fra Allyson, una diciassettenne scozzese come tante, e la sua coetanea Coleen, che combatte da due anni e mezzo contro la leucemia. E’ un romanzo cui tengo molto, che mi rende molto orgogliosa e non vedo l’ora di cominciarne la promozione.

sabato 19 aprile 2014

LA MIA AMICA EBREA

Salve lettori, oggi i miei complimenti vanno a Rebecca Domino, giovane e brava scrittrice emergente. La mia amica ebrea è il suo primo romanzo e racchiude davvero una storia notevole e commovente, per nulla pesante nonostante lo sfondo della storia sia l'olocausto. Potete acquistare l'ebook QUI e se volete saperne di più, leggete la mia recensione.Vi auguro buona lettura.






RECENSIONE:

 Una storia forte e allo stesso tempo delicata quella raccontata da Rebecca Domino nel suo primo romanzo: La mia amica ebrea. Un racconto in cui si mescolano storia, amicizia e amore. L’Olocausto non è mai un tema facile da trattare, tuttavia l’autrice riesce ad affrontarlo in modo leggero ed estremamente delicato,  sviluppando un pathos che raggiunge il suo culmine alla fine del romanzo.
Le pagine di questo libro ci riportano indietro nel tempo in un’Amburgo devastata dalla Seconda Guerra Mondiale e dal nazismo.  In questo clima di terrore e di incertezze una famiglia ebrea trova, inaspettatamente e contro ogni più rosea aspettativa, rifugio presso una famiglia tedesca. Sembra impossibile eppure Josepha, la ragazzina ariana e Rina, la ragazzina ebrea, entrambe quindicenni, riusciranno poco a poco a superare i loro pregiudizi e a stringere un’amicizia sincera e profonda, un’amicizia pericolosa e senza pari. 
Nella Germania nazista non è permesso considerare un ebreo al pari di un ariano o la pena è la morte. Nessuno dunque deve scoprire il particolare legame tra le due adolescenti, entrambe sono consapevoli dei rischi che corrono giorno dopo giorno, eppure nessuna delle due vuole abbandonare l’altra. 
Una storia intensa intrisa di tutti i sogni, le speranze e le paure di quelle ragazzine che non sanno se diventeranno mai donne, perché per loro ogni giorno può essere l’ultimo, ogni bomba può essere fatale. Si ha fretta di crescere, di fare esperienze, di innamorarsi, di vivere, di godere di ogni respiro. 
Lo stile leggero e coinvolgente dell’autrice racconta la vicenda dal punto di vista di Josepha, e attraverso i suoi occhi e i suoi pensieri si viene totalmente rapiti dalla narrazione e dalla sua voglia di vivere. Un romanzo dalla trama e dal finale per nulla scontati, ma che anzi, colpisce proprio per la sua originalità e per la voglia di evidenziare aspetti poco noti dell’Olocausto. 
Non tutti sanno infatti che molti ebrei sono stati salvati proprio dai  tedeschi, i quali spesso hanno pagato con la vita questa loro impudenza. Si tratta di “eroi” sconosciuti, dei quali nessuno parla: persone semplici e comuni - come Josepha e la sua famiglia -  che nonostante le imposizioni di Hitler, hanno trovato il coraggio e la forza di ribellarsi e aiutare decine e decine di ebrei, altrimenti condannati all’oblio. 
Da questo romanzo emerge un’umanità sconvolgente, la prova che anche in uno dei momenti più bui e tristi della nostra storia, la dignità umana non si sia persa completamente.

martedì 15 aprile 2014

IL FANTASMA DELL'OPERA

Salve a tutti, oggi vi propongo un grande classico che non potevo non recensire per quanto mi ha colpito. Il fantasma dell'Opera è il romanzo più celebre di Gaston Leroux e merita davvero di essere letto. Se non lo avete ancora fatto, fatelo. 
Buona lettura.






RECENSIONE:

Chi è il misterioso personaggio che si nasconde dietro la maschera, che si aggira per l’Opera di Parigi come fosse il padrone e che nessuno ha mai realmente visto?  
Gaston Leorux costruisce sapientemente e con dovizia di particolari la storia del Fantasma dell’Opera, così realistica e affascinante da passare quasi per vera, merito anche della forma mentis giornalistica dell’autore. 
Fatti inspiegabili e inquietanti si susseguono all’Opera di Parigi, tanto che i direttori del Teatro si dimettono e i loro sostituiti vengono da subito vessati dalle minacce di un individuo che si firma F. dell’Opera, affinché anche loro rispettino le sue regole all’interno del Teatro. 
Tutti ne parlano, tutti lo temono, ma sembra che nessuno lo abbia mai visto. I due nuovi direttori, infatti, pensano inizialmente di essere vittime di uno spiacevole scherzo, solo in seguito ammetteranno l’esistenza del Fantasma dell’Opera e cercheranno di far luce sulla sua oscura identità. 
Il presunto Fantasma è in realtà un uomo in carne ed ossa di nome Erik, con un tormentato passato alle spalle e una personalità tanto complessa quanto intrigante e spaventosa. 
Egli si innamorerà perdutamente della giovane e ingenua cantante lirica Christine Daaé, e spacciandosi per l’Angelo della Musica inizierà a darle lezioni private di canto – dal momento che in questo risiede il suo eccezionale talento -  senza però mai mostrarsi. Raoul de Chagny è un giovane timido visconte da sempre innamorato della bella Christine, quando finalmente trova il coraggio di dichiararsi, lei pur ricambiando, lo respinge a causa dell’Angelo della Musica che la vuole esclusivamente per sé. Roul non si arrende e tenta in ogni modo di strappare la giovane a quello che crede essere un impostore. 
Sotto la maschera di Erik, Christine scoprirà il volto dell’orrore e nonostante ciò arriverà ad accettare la sua proposta di matrimonio pur di salvare Roul, minacciato di morte da un Erik furibondo di gelosia. 
Una storia d’amore che sa molto di Shakespeare, in cui i due protagonisti sono stati spesso associati a Romeo e Giulietta, per l’ impossibilità del loro amore. 
Nonostante il Fantasma ne combini tante, non si può non finire per affezionarsi a lui e perdonarlo. Erik è un personaggio fortemente complessato, costretto a vivere nei sotterranei bui del Teatro a causa del suo aspetto. Nessuno lo ha mai amato, nemmeno la madre, non ha mai conosciuto la carezza di una donna o l’affetto di un amico. 
Il suo amore per Christine è totale e letale, tanto da portarlo a compiere scelte di cui in seguito egli stesso si pentirà. La ragazza è l’unica a provare compassione e allo stesso tempo ammirazione nei suoi confronti e questo per Erik sarà l’unico regalo offertogli dalla vita. 
Una Bestia che si innamora di una Bella, una Bestia che grazia all’amore riuscirà a riscattare la propria umanità.




venerdì 11 aprile 2014

IL SEME DEL MALE

Non me ne vogliano i fan di Joanne Harris se la mia recensione al suo romanzo d'esordio non risulta del tutto positiva. Il seme del male è un'opera giovanile dell'autrice e come evidenzierò nella mia critica, ci sono una serie di motivi che giustificano la poca riuscita di questo libro. Sono aperta a chiunque abbia un parere diverso dal mio in merito, e voglia farmi presente la sua opinione. 
Detto questo, vi auguro buona lettura.



  



RECENSIONE:

Questo romanzo vorrebbe essere un horror, ma di horror ha ben poco, se vogliamo considerare l’atmosfera cupa e tetra di un cimitero e dei vampiri poco rassicuranti. Possiamo considerarlo più un urban fantasy dall’abito gotico e dal volto dark. 
Romanzo d’esordio della Harris, Il seme del male - come l’autrice stessa ha dichiarato - vuole essere una forma di ribellione nei confronti della madre che non le aveva mai permesso di leggere questo genere letterario. Possiamo quindi perdonarla se l’effetto horror non risulta riuscito a pieno. La trama si rivela essere piuttosto semplice e i personaggi pochi ma ben caratterizzati.
Alice Farrell è una giovane pittrice che un giorno si trova per caso a soffermarsi davanti ad una strana lapide nel cimitero di Grantchester a Cambridge. Il nome della defunta, appena visibile a causa delle erbacce che lo ricoprono, è Rosemary Virginia Ashley. 
Alice è subito pervasa da una strana e inspiegabile inquietudine, sensazione che tornerà anche quando conoscerà Ginny, la nuova e strana ragazza del suo ex fidanzato, Joe. 
Alice si rende subito conto che in Ginny si nasconde qualcosa di oscuro e sinistro, inizia perciò a temere per la vita di Joe, soprattutto quando scoprirà che la misteriosa ragazza compie visite notturne alla tomba di Rosemary, accompagnata da amici dall’aspetto inquietante che sembrano provenire direttamente da un’altra epoca. 
Perché Ginny dovrebbe andare a trovare una defunta seppellita mezzo secolo prima? 
Che connessione c’è tra le due donne?
La prima parte del romanzo risulta decisamente poco chiara e scorrevole, si comincia a capirci veramente qualcosa solo da metà in poi. Nonostante questo, la Harris riesce a ispirare una buona dose di suspance nel lettore, almeno all’inizio. Due voci narranti differenti si alternano nella narrazione della storia, fatto che inizialmente contribuisce a disorientare non poco chi legge.  I pochi colpi di scena presenti nel romanzo sono in gran parte prevedibili, tanto che a un certo punto il lettore si accorgerà di aver già capito come andrà a finire, ben prima del termine della lettura. 
La parola vampiro compare si e no una volta in tutto il romanzo, e solo verso la fine. Siamo infatti di fronte a vampiri che non si definiscono tali, per loro la Harris preferisce la semplice definizione di: creature. Si tratta di vampiri atipici, che non si nutrono delle loro vittime semplicemente succhiandone il sangue, ma in un modo ben più cruento che non vi voglio svelare. 
Per concludere: se siete amanti dei vampiri alla Twilight questo libro certamente non fa per voi, ma se cercate un horror leggero e qualche brivido lungo la schiena, allora troverete ciò che cercate.